Applicazioni metodologiche

§ Gennaio 21st, 2011

APPLICAZIONI METODOLOGICHE

1) Un metodo di ristrutturazione percettiva: placa la mente e riequilibra le emozioni che vi si collegano.

Nella mente di Lina si affollavano pensieri, tante preoccupazioni: la mia vita é priva di senso, non ho realizzato nulla di buono, il lavoro non mi appaga, non ho amicizie, vivo con un uomo che non stimo, con cui non ho dialogo. Cosa faro’? Riuscirò ad avere una vita migliore?

Si tratta d’idee che attivano reazioni biologiche legate agli ormoni dello stress, producono malessere. Esse tolgono la voglia di fare, di relazionarsi, la speranza, ogni forma di motivazione. Riducono le energie. Stimolano l’insonnia. Sono percezioni negative legate alle paure, al negativo, all’egoismo. Si concentrano su di se’; l’altro è escluso nella sua individualità, nella sensibilità, non si considera l’emotività che esprime.

Basta concentrarsi su altre lunghezze d’onda per provare benessere, partecipare alla vita degli altri, interrogarsi sul loro essere, sulla loro sensibilità, su ciò che provano, sentono, desiderano. Partecipando alla vita degli altri, alla loro gioia, percependoli in ciò che di bello esprimono, magicamente entriamo in uno stato di benessere.

“Mio marito é una persona onesta, ci si può contare, non si nega nei momenti di emergenza. Se coinvolto si attiva, sa commuoversi, a modo suo”.

Sono idee che eliminano lo sconforto, riaprono alla speranza. Lo stato emotivo é diverso, certamente negativo se mi concentro sulle idee:

“E’ freddo, non prende iniziative per il tempo libero, mi fa condurre una vita piatta, manca di emotività manifesta, é rigido, assolutamente non empatico, non ha voli di fantasia”.

Di fatto, si tratta di un pensiero polarizzato, ristretto agli aspetti negativi, che pongono ai margini quelli positivi che pur caratterizzano l’esperienza.
Il nostro cervello presenta due lobi, due gruppi di neuroni preposti l’uno al pensiero negativo e l’altro a quello positivo. Il negativo produce gli ormoni dello stress, l’altro quelli del benessere. Nel corso degli anni, se la visione della vita e’ ristretta, concentrata sugli aspetti negativi, tendenti a sottolineare il limitato, il disarmonico, ciò che si presenta incompiuto, si danno stimoli al lobo che impara a percepire solo gli aspetti negativi dell’esperienza, a concentrarsi su di essi. Così ai nostri occhi e alla nostra mente balza solo ciò che consideriamo imperfetto ed a ciò si legano, come detto, gli ormoni dello stress che ci confinano sempre più in percezioni negative, aggiungendo malessere a malessere.

2) Alla base delle paure, il pensiero negativo.

E’ ciò che ha capito Marzia, una bambina di nove anni. Aveva paura di tutto: di rimanere al buio durante la proiezione di un film, a scuola; di restare a casa da sola; di giocare a casa di un’amica per il timore di essere dimenticata dai genitori. Studiava ore ed ore e a scuola non riusciva a ricordare ed esprimere i contenuti.

Le idee automatiche negative, che producevano le paure erano:
il buio e’ pericoloso, al buio possono accadere cose brutte.
Potrebbero venire i ladri, se sono a casa da sola e farmi del male.
I miei genitori non si ricorderanno di me e non mi verranno a prendere.
Non mi so esprimere, non so ripetere la lezione;
i compagni rideranno di me.

Il pensiero volontario, che permetteva di superare le paure, espresso a voce e per iscritto, usando i fumetti era:
non accade nulla di brutto al buio, non sono da sola,
ci sono le compagne, le maestre che ci proteggono.
Non sono venuti mai i ladri, all’ingresso,
ci sono i ferri che impediscono di entrare e poi
potrei avvertire la polizia, scappare.
I miei genitori mi vogliono bene,
non possono dimenticarsi di me, verranno a prendermi.
Ho studiato, sono preparata,
userò le parole giuste durante l’interrogazione,
i miei compagni capiranno che sono brava.

Al pensiero si legano gli stati emotivi: se é negativo, ristretto, concentrato solo su alcuni aspetti dell’esperienza, produce paure. Se è libero, ampio; se considera più elementi della situazione, evidenziando le caratterizzazioni positive, genera serenità.

Così Marzia ha imparato ad esprimere verbalmente le sue paure e, realizzando fumetti, ha capito che erano il frutto di ciò che pensava, liberandosene nel giro di poco più di due mesi.

La parola e il disegno agiscono sul vegetativo, attivano il sistema parasimpatico, che rilassa. In questo modo, si formano nuovi collegamenti tra i neuroni, conseguenti alle idee, in grado di disattivare i vecchi, produttori di paure.

3) La mancanza di autostima avvelena la vita.

Gianni, giovane ventenne, sotto profondo stress, perché totalmente privo di autostima.

Fisicamente non si piaceva: il suo tronco gli sembrava sproporzionato rispetto al resto del corpo. A scuola non si sentiva accettato, interagiva poco. Studiava ore ed ore per rendere, con grande sforzo, meno della sufficienza. La mancanza di autostima gli impediva di credere in se stesso, di esprimere quello che pensava, ciò che provava. Usava la sua intelligenza per percepire elementi che ingigantivano le paure, per fare proiezioni: non accettandosi, pensava di non essere accettato. Aveva un gran bisogno di interagire con il sesso femminile, di sentirsi accolto, di entrare in contatto vero. Ma non riusciva ad esprimere i suoi sentimenti, manifestava atteggiamenti di distacco che lo allontanavano dagli altri.

E il senso di vuoto esistenziale gli avvelenava la vita: provava ansia, angoscia, agitazione.

In famiglia viveva uno stato d’isolamento totale, non interagiva con i fratelli, non comunicava le sue esperienze e sensazioni ai genitori che manifestavano un profondo dissidio tra loro ed erano stati più volte sull’orlo della separazione. La madre rimproverava al marito l’aggressività rivolta ai figli. Per il resto, si appoggiava totalmente a lui e non poteva fare a meno della sua guida, anche se ritenuta autoritaria. Il suo atteggiamento era freddo e scostante, puniva facilmente i figli se non rispettavano le regole imposte.
Da bambino Gianni aveva vissuto con sofferenza il dissidio genitoriale e le ripercussioni che esso aveva sulla sua esistenza. Spesso era coinvolto direttamente dai genitori che gli chiedevano di esprimere un suo giudizio sulla colpevolezza o meno reciproca. Le loro reazioni forti, che facevano seguito alle sue considerazioni, gli procuravano profondi sensi di colpa. Il padre lo seguiva giornalmente durante lo svolgimento dei compiti scolastici; ignaro dell’importanza della gratificazione per l’apprendimento, se sbagliava, lo rimproverava aspramente, dicendogli di essere uno scemo. In questo modo Gianni riceveva suggestioni che lo facevano sentire com’era percepito: “Specchiandosi” nell’immagine che il padre mostrava di avere di se’. Tutto era difficile, insormontabile, anche le partite di calcio a livello agonistico lo frustravano, provava un senso di vergogna che gli impediva di essere sciolto, di concentrarsi serenamente sull’attività che svolgeva.
E viveva un profondo senso d’inferiorità che trasferiva in ogni ambito della sua persona: si sentiva brutto, inadeguato, incapace.

Sensazioni che lo relegavano, sempre più, in uno stato di blocco, d’incapacità ad interagire.

A scuola, la maestra delle Elementari, rigida e severa, non era in grado di cogliere la sensibilità del bambino, con i suoi giudizi negativi gli rafforzava l’idea di non essere all’altezza della situazione.

Siamo ciò che pensiamo di essere. Se crediamo in noi stessi, siamo sciolti, creativi, trainanti. Diversamente bloccati, in uno stato di sofferenza.

Il percorso della “rinascita”

Durante la vita evolutiva, gli educatori rivestono un’importanza centrale nello sviluppo dell’immagine che il soggetto struttura di se’. Fanno da specchio, contagiano le loro percezioni: il ragazzo introietta l’immagine che l’adulto gli manifesta di se’.
Gianni ha dovuto imparare, esprimendo idee e sentimenti, a capire come si era formato il concetto di se’ negativo, a leggere nelle intenzioni degli adulti, a capire la loro buona fede quando lo definivano incapace e lo facevano sentire tale. Ha capito le cause dei loro comportamenti, i motivi dei dissapori dei genitori, a non condannarli, ad accettarli, ad amarli. E’ riuscito a spiegarsi come l’inconscio registrando i messaggi degli educatori, produceva gli stati d’animo di sofferenza.
Ha imparato a leggere i caratteri delle sue idee, dei suoi comportamenti, a scoprire la ricchezza racchiusa nel suo modo di essere e di sentire.
Ciò lo ha messo in contatto con la sua energia vitale. Lo ha fatto sentire sciolto, libero di esprimersi, di andare verso l’altro, di sentirsi amato ed accettato.
E’ riuscito a rendere il massimo a scuola, a diventare il primo della classe. Il suo modo di porsi ricco e variegato lo ha avvicinato alle ragazze, permettendogli, nel rapporto di coppia di vivere un’intesa produttrice di profondo benessere.
Oggi é sorridente, pieno di vita, di brio, di progetti. Contagia gioia e voglia di vivere.

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